un popolo in ciabatte - sinossi

Il 23 aprile 2009 alle 23,23 una giovane donna sta andando, in auto, da Roma a Rimini per lavoro. Viaggia di notte, è sola.

Si chiama Valeria, abita a Milano, è titolare di un negozio di scarpe in centro, non è sposata, né ha figli.

All’altezza di Aquila est, forse per una solidarietà bizzarra con la sua esistenza, anche la sua Ford si ferma irrimediabilmente.

Lei finirà in un campo di tende della Protezione Civile, nella paradossale condizione di dover essere aiutata dai terremotati stessi.

Anche se continuerà a ripetersi che quel dolore non è il suo, dovrà affondare nella precarietà di quella condizione accettando di condividere quel destino di “mendicante”, fino a farsi scambiare per una terremotata, mentre cadranno le sue ipocrisie e le presunte ambizioni.

Lì incontrerà un’umanità sovrabbondante e commovente, una giostra di esistenze sorprese da una terra che trema e certezze che vacillano.

Si sporcherà le mani e si comprometterà il cuore, scoprendo che mai in vita sua si è sentita più vera di quando si è definita terremotata da una vita, senza sapere di esserlo, in perenne stato di calamità naturale e in attesa di ricostruzione.

Il terremoto le rimarrà dentro come un anticorpo, come un tatuaggio antico, come una necessità dell’anima, per non annegare nelle sabbie molli appiccicose di chi si sente sistemato.

Un racconto ironico e vibrante che svela, da un punto di vista diverso la tragedia accaduta in Abruzzo che ha scosso l’Italia intera e l’ha fatta sentire unita.

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